«…Camelia ha questo dono particolare, che sa ascoltarsi, che sa seguire i tempi del suo vissuto nuotando in apnea dentro una zona d’intimità inaccessibile, proprio quella stanza a lume di candela che si intravede da dietro uno spioncino. Si ascolta utillizzando quei conduttori caldi come i ricordi e le sensazioni fugaci, che però hanno fatto appena in tempo a depositarsi ed a germogliare, a mettere tenere radici dentro morbida terra…»
(Marco Tonelli, Camelia Mirescu – Le forme degli istanti – De Luca Editori d’Arte, Palazzo Valentini – Roma, 2003)
SATOR magiaQuadra
Spiritus Artifex Tellus Orbis Responsum
S A T O R – magiaQuadra
Spiritus Artifex Tellus Orbis Respensum di Camelia Mirescu
2013 olio e carta su legno, 150×150 cm
(l’opera contiene 25 quadrati 30x30cm)
Il Quadrato del Sator per un triangolo d’arte
di Claudio Crescentini
Quando si fa riferimento al “Quadrato del Sator” ci si relazione all’ormai celebre e pregiatissima iscrizione latina, probabilmente risalente già al I sec. d.C. per mezzo del ritrovamento di epigrafi lapidee e di graffiti, inscritta appunto in un quadrato e impostata con cinque parole dal medianico valore sapienziale ed ermetico: SATOR / AREPO / TENET / OPERA / ROTAS.
Queste parole, se superficialmente staccate fra di loro quasi in un gioco linguistico, enigmistico, anagrammatico, e lette nell’ordine dato, vanno invece a formare un palindromo, cioè una frase che rimane identica a se stessa sia se letta da sinistra a destra o viceversa, dall’alto in basso o, ancora, viceversa, in una prospettiva criptica e affascinante di rimandi enigmatici, ermetici oltre che gnoseologici. Al centro del quadrato campeggia la parola “TENET”, a forma di croce, come l’Uno indivisibile seppur diviso nella sua interezza e che è stato associato con la struttura basica di numerose religioni orientali e occidentali.
Al di la quindi delle molte, a volte contrastanti, interpretazioni suggerite nei secoli, quello che resta oggi del “Quadrato del Sator” è soprattutto la perdita di una sapienzialità che sicuramente guidava e indicava nella via gli antichi pensatori e che nel nostro esile contemporaneo sembra essere invece diventato solo gioco visivo anagrammatico. Ma, come indicava Cartesio, già all’inizio di quella esilità che ormai contraddistingue il nostro pensiero, le eccezioni spingono i mondi e, nel presente caso, le eccezioni sono tre artisti, Rejine Halimi, Fulvio Leoncini e Camelia Mirescu, nel rigido ordine alfabetico, quello che abbiamo definito come “triangolo d’arte” in relazione, ma non in contrapposizione, alla quadratura indicata.
Da tre culture, formazioni e dizioni stilistiche diverse, i tre artisti si mettono quindi alla prova, come gli antichi alchimisti persiani, reinterpretando il quadrato in chiave appunto artistica e mediale, ma anche esistenziale, senza però perdere di vista il dato ermetico e gnostico del concetto “quadrato”, anzi rafforzando questo elemento proprio grazie al loro – pensato – intervento artistico che, a nostro avviso, è anche di vita oltre che ovviamente di arte. Un intervento che è però, prima di tutto, o meglio, nonostante tutto, di tipo prettamente concettuale, senza comunque perdere di vista il dato visuale della rappresentazione. […]
Camelia Mirescu, il terzo lato della triade artistica inscritta nel “quadrato”, interviene invece sulla materia, quasi fisicamente, oltre che sul piano intellettivo e percettivo dell’arte, recuperando la forza di questa stessa, piegandola, asservendola in relazione ad altri confini strutturali e interpretativi, di modo che il segno misterico ed enigmistico, sul quale fa perno il suo intervento, diviene anche, in senso lato, possibilità e caparbietà di ri-pensare il presente in maniera più profonda, colta, alta.
Questo in definitiva è il prospetto identificativo delle singole opere di tutti e tre gli artisti presentati, i quali, quasi fuori tempo massimo per la nostra civiltà, sembrano proprio rivivere il “quadrato” e i simboli in esso racchiusi, e le loro opere bene lo esprimono, come se fosse un nuovo sigillo interpretativo, ermetico e sapienziale, lo ripetiamo, proto-filosofico e sempre rigorosamente coniugato al presente. In particolare in quel loro specifico triangolo intellettivo, intellettuale e, non ultimo, amicale, che li lega e assolve, per mezzo appunto dell’enigma trasmutato in arte, nel quale appunto si concentrano e accentrano.
Decisamente un bene, visto i tempi che corrono.